
30 Ago 2020
Terzo Settore, immobilismo risorse. I criteri con cui lo Stato distribuisce alle Regioni il Fondo politiche sociali FNPS sono gli stessi dall’anno 2000. Nessun premio alle Regioni virtuose né a quelle che, grazie al Terzo settore, migliorano i servizi.
Il Fondo politiche sociali FNPS e il Piano sociale nazionale, secondo la legge n. 328/2000 sul sistema integrato dei servizi sociali, sono i due binari su cui avrebbero dovuto procedere le politiche di welfare. Purtroppo il primo (391 milioni di euro nel 2019) ha attraversato periodi alterni, senza realizzare i livelli essenziali delle prestazioni, mentre il Piano è nato solo nel 2018. Nel frattempo i criteri di assegnazione alle Regioni non sono mai cambiati. Come se la mappa dei bisogni sociali non fosse mai mutata.
Terzo Settore, poche le risorse. Lo stesso Piano sociale nazionale rileva che si è preferito lasciare immutate le percentuali. per evitare che chiudessero i pochi servizi attivati nei contesti meno avanzati. “Lo Stato, quando trova la sintesi con le Regioni, non la tocca perché sa che è un terreno scivoloso” – afferma Franco Pesaresi, direttore generale Azienda servizi alla persona ambito 9 di Jesi. In questo ventennio segnato anche dal passaggio nel 2001 della competenza sul welfare alle Regioni, i governi hanno moltiplicato i fondi sociali settoriali. Una logica opposta alla legge n. 328/2000, che puntava a dar vita a un contenitore unico. Inoltre, il Fondo politiche sociali FNPS è utilizzato per suddividere fra le Regioni le risorse del Fondo nazionale per le non autosufficienze, 573 milioni di euro. Ben il 40%. Il restante 60% è attribuito invece in base al numero di residenti ultra 75enni. Poi, anche le risorse per il testo di legge del giugno 2016. Infine, 56 milioni di euro sono suddivisi tra la popolazione regionale di età 18-64.
I criteri di riparto di questi tre fondi, insomma, sono sia obsoleti sia ponderati su parametri demografici molto ampi. Un limite che rimarca la mancanza di un sistema informativo nazionale dei servizi sociali. “Spesso i dati sono raccolti e archiviati a livelli diversi da quelli in cui si possono fare le scelte” – sottolinea Giuseppe Guerini, presidente Confederazione europea cooperative di lavoro e di servizi. Ma come ridisegnare i criteri di riparto? Prevedendo magari premialità per le Regioni che investono fondi propri o che raggiungono determinati obiettivi. Ad oggi, il sistema non incentiva né le Regioni che aggiungono risorse, né quelle che col contributo del Terzo Settore migliorano i servizi. Quali i rischi? “Le aree deboli del Paese potrebbero essere penalizzate due volte dai premi: meno risorse locali e meno dal centro” – spiega Luca Beltrametti, economista Università degli Studi di Genova. Il sistema di premialità per le Regioni tarda a concretizzarsi.
Michele Baldoni