
29 Giu 2020
C’erano 93 persone, più un bambino nato a bordo e sei cadaveri, sul gommone riportato indietro la sera di venerdì 26 giugno dalla guardia costiera libica, sotto gli occhi della nave Mare Jonio. La nave della Ong “Mediterranea Saving Humans” è arrivata troppo tardi in soccorso dell’imbarcazione. La Ong denuncia: “i soldi dell’Italia alla Libia portano a deportazione profughi”.
La Mare Jonio venerdì 26 giugno mattina aveva raccolto l’allarrme, ma era molto lontana dal gommone e ha quindi rilanciato la richiesta di soccorso. Richiesta di soccorso inoltrata anche perché nell’area incrociavano alcune navi militari dell’operazione Irina, alla quale partecipa anche l’Italia. Navi che però non sono intervenute. La Ong “Mediterranea Saving Humans” afferma che “la nostra nave si trovava a poche miglia di distanza e ha offerto la disponibilità ad imbarcare i naufraghi, per garantire cure medico-sanitarie adeguate. I miliziani libici si sono rifiutati, il comando della motovedetta libica ha negato la presenza di otto persone decedute e di una donna che avrebbe partorito a bordo. Invece, i naufraghi avevano segnalato tali informazioni“.
Alessandra Sciurba, portavoce dell’ Ong “Mediterranea Saving Humans”, ha affermato: “ancora una volta, soldi e mezzi erogati dall’Italia alla Libia hanno portato alla deportazione di profughi in un Paese in guerra. Si tratta di soldi e mezzi riferibili alla cooperazione tra Italia e altri governi europei“. La denuncia è stata condivisa da Carlotta Sami dell’ “Unhcr”, Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati: “nessuno dovrebbe essere riportato in Libia. Tantomeno chi avrebbe subito il destino crudele di nascere dalla disperazione e in mezzo al mare. I naufraghi sono esseri umani, non vuoti a perdere”.
Michele Baldoni